Letture della messa del giorno
La parte conclusiva del discorso della Montagna, che Doménica scorsa ci ha parlato di beatitúdini, oggi ci fa capire come Gesú sia venuto a sottrarci da ogni forma di crudeltà e di violenza, di vita carnale dipendente dal primo Adamo; per èssere invece «uòmini celesti», secondo quello che san Pàolo dice ai Corinzî, ad imitazione dell’Uomo celeste che è Gesú: l’último Adamo.
San Pàolo cerca di spiegare il corpo dei risorti a che cosa somiglierà, dopo la morte, e da che cosa dipenderà il suo splendore: usa l’immàgine del seme, da cui non si può riconóscere l’aspetto finale della pianta; ma fa capire che quella potenza di vita nascosta nel seme è la stessa potenza che ci renderà totalmente “celesti” dopo il tempo della misèria e della debolezza. Intanto, però, il Vangelo vissuto fedelmente è la prima risurrezione, è il germòglio di quell’uomo celeste che vedremo in tutto il suo splendore dopo la morte. Quindi, Gesú, facèndoci pensare al prèmio della fedeltà, anziché al castigo per l’infedeltà, ci stímola sempre al bene, non per paura, ma per realizzare in noi l’amore di Dio. I santi, che desíderano èssere celesti, e che hanno aspirato al prèmio celeste, fanno riconóscere questo germòglio spuntato e crescente in loro, da una certa luce o luminosità che traspare dagli occhî e dal volto, e che l’iconogràfia rappresenta con l’aurèola o nimbo attorno alla testa. Ecco, questa aurèola ci dice che essi sono coloro che hanno creduto di potér diventare celesti, pur vivendo sulla terra; e quello splendore che ora li fa tutti luce in Paradiso, ha cominciato a far capolino qui in mezzo a noi, mentre vivèvano il Vangelo. Quando guardiamo un quadro o una stàtua di santi che hanno l’aurèola, pensiàmoli come sono stati in vita e non come sono adesso in cielo, perché in cielo non hanno i vestiti, le palme, le mítrie e i pastorali, ma il loro splendore è adesso pieno, totale, abbagliante. Per loro è accaduto ciò che non è accaduto per Giuda: egli voleva restare “terreno”, era ladro, mascherava la sua malvagità sotto l’apparenza della virtú, e ha tradito l’Amico con cui condivideva il pasto, perché Egli non era un violento come Giuda intimamente era. Per Giuda il discorso della Montagna è stato una follia, un annúncio di fallimento, una sapienza che non lo attraeva, ma lo sconcertava: «¿Amare i nemici? ¿Pòrgere l’altra guància? ¿Prestare senza sperare nulla? Il Maestro è un sognatore e manca di concretezza e realismo». Il risultato di questa chiusura alla verità e alla gràzia, sappiamo quale è stato nella sua vita: la corsa verso la morte eterna, che aveva già il suo segno di riconoscimento mentre era in vita. Stavolta non è l’aurèola, ma il búio del cuore e il búio del volto, che Giotto, a Pàdova, nella famosa cappella degli Scrovegni, rappresenta come un nimbo che gradualmente scompare. Oggi, a noi, questo discorso di Gesú, deve ricordare qual è la posta in gioco per chi lo accetta e per chi lo rifiuta. Il pensiero di Dio, accolto, rende eroi non perché sappiamo maneggiare le spade, i giavellotti e le arti marziali, ma perché riusciamo a méttere in pràtica il contenuto di questo brano del Vangelo. Ci vuole infatti l’eroismo della santità per amare i nostri nemici e per pregare per chi ci perséguita. Il santo è un eroe disprezzato dai violenti, perché ha avuto il coràggio di aspirare al Cielo anziché alla vendetta; è stato re perché ha servito Dio e da Dio si è fatto nutrire; e da Dio si è fatto consegnare IL PROGRAMMA DI VITA. Voi mi direte: «¡È troppo quello che ci chiede il Signore!: èssere eroi nelle virtú e santi nelle aspirazioni…», ma io torno a ricordarvi l’esèmpio del seme e quello dell’aurèola: tu devi cominciare, nella tua misèria e debolezza, a volere ciò che Dio vuole, per produrre il germòglio della santità e lo splendore della vita nuova. Il programma di vita cristiana che Dio ci dà non è fàcile, ma è possíbile; non è folle, ma necessàrio. Infatti, tutto ciò che il Signore ci chiede è sostenuto e realizzato dalla sua gràzia.
Ci chiede di amare i nemici, ma ci fa capire prima quanto male porta l’òdio e quanta pena ci dèvono fare gli odiatori.
Ci chiede di fare del bene a chi ci òdia, ma prima ci insegna che il modello di questo amore è Dio Padre, che «non ci tratta secondo i nostri peccati».
Ci chiede di pregare per chi ci perséguita, ma prima ci insegna la giòia che Egli prova per ogni peccatore che si converte e il valore della preghiera non fatta per sé stessi.
Ci suggerisce di pòrgere l’altra guància a chi ci ha dato uno schiaffo, ma prima ci ha insegnato ad èssere miti e úmili di cuore, per non aggravare le situazioni di scontro con le persone che hanno l’inferno dentro.
Ci suggerisce di aggiúngere in dono la túnica a chi ci ha rubato il mantello, ma prima ci ha insegnato a non attaccare il cuore alle cose e a vestire gli ignudi.
Ci chiede di non giudicare e non condannare, ma prima ci ha fatto vedere la sua mano tesa verso tutti i peccatori, persino quando i chiodi non gli permettèvano piú di tènderla.
Ci dice di prestare senza sperare nulla in càmbio, e nemmeno la restituzione; ma prima ci ha rivelato quali tesori dobbiamo accumulare in cielo.
Ha parlato con esempî sémplici, ma per farsi capire da chi riporta sempre al pròprio vantàggio la verità, ha sintetizzato questo programma di vita nella règola d’oro: «E come volete che gli altri fàcciano a voi, cosí anche voi fate a loro» (Lc 6,31).
Come vedete, l’Uomo celeste non è un idealista, ma un concreto annunciatore di vita nuova. Ama ed insegna ad amare, come Dio ama: Lui che stronca le guerre e ama la pace, «lento all’ira e grande nell’amore» (Sal 102,8).