La seguente riflessione mariana riguardante l’obbedienza da dare ai “veri” sacerdoti e la preghiera da offrire per gli altri è tratta dall’opera di Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato ed è posta a commento dell’episodio nel quale la neo-mamma Maria e san Giuseppe obbediscono con sacrificio al consiglio di non ritornare al loro paese natio Nazareth e di rimanere a Betlemme, consiglio datogli dal sacerdote Zaccaria, che era venuto a trovarli dalla sua città di Hebron, dopo aver avuto notizia della nascita di Gesù.
Maria Santissima, prendendo spunto dal consiglio di Zaccaria, consiglio fondato solo sul suo limitato buon senso umano per il quale era stato già punito dall’angelo dopo l’annuncio del concepimento di suo figlio Giovanni, dice a tutti noi:
«Ho rispettato il sacerdote per la sua dignità, non per il suo sapere.
Il sacerdote è, generalmente, sempre illuminato da Dio. Ho detto “generalmente”. Lo è quando è un vero sacerdote. Non è la veste quella che consacra, è l’anima. Per giudicare se uno è un vero sacerdote bisogna giudicare ciò che esce dalla sua anima. Come ha detto il mio Gesù, è dall’anima che escono le cose che santificano o che contaminano, quelle che informano tutto il modo di agire di un individuo. Orbene, quando uno è un vero sacerdote, è generalmente sempre ispirato da Dio. Degli altri, che tali non sono, occorre avere soprannaturale carità e pregare per loro1. […]
Ubbidire salva sempre. Anche se non è in tutto perfetto il consiglio che si riceve. […]
L’ubbidienza salva sempre. Ricordalo. E il rispetto al sacerdote è sempre segno di formazione cristiana. Guai — e Gesù l’ha detto — guai ai sacerdoti che perdono la loro fiamma apostolica! Ma guai anche a chi si crede lecito sprezzarli! Perché essi consacrano e distribuiscono il Pane vero che dal Cielo discende. E quel contatto li rende santi come un calice sacro, anche se santi non sono. A Dio ne risponderanno. Voi considerateli tali e non vi curate d’altro. Non siate più intransigenti del vostro Signore Gesù, il quale al loro comando lascia il Cielo e scende per essere elevato dalle loro mani. Imparate da Lui. E se sono ciechi, se sono sordi, dall’anima paralitica e il pensiero malato, se sono lebbrosi di colpe troppo in contrasto con la loro missione, se sono dei Lazzari in un sepolcro, chiamate Gesù che li risani, che li risusciti. Chiamatelo col vostro orare e col vostro soffrire, o anime vittime.
Salvare un’anima è predestinare al Cielo la propria. Ma salvare un’anima sacerdotale è salvare un numero grande di anime, perché ogni sacerdote santo è una rete che trascina anime a Dio. E salvare un sacerdote, ossia santificare, risantificare, è creare questa mistica rete. Ogni sua preda è una luce che si aggiunge alla vostra eterna corona»2.