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Il papa ha ragione: “Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio”

Si è fatto un gran parlare dell’espressione di papa Francesco: “Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio”, pronunciata in un suo discorso rivolto a un gruppo interreligioso di gióvani a Singapore, il 13 settembre 2024. Molti hanno mosso crítiche a papa Francesco affermando che le sue parole sono contràrie all’unicità salvífica di Cristo e al mandato di evangelizzare e battezzare il mondo intero.

Introduzione

L’affermazione del papa, seppúr problemàtica ― in quanto suscettíbile nella sua laconicità di interpretazioni eterodosse ―, è téologicaménte sosteníbile e in línea con alcuni documenti della Chiesa. Il Pontifício Consíglio per il Diàlogo ínterreligióso scriveva, per esémpio, nel 1991:

«è attraverso la pràtica di ciò che è buono nelle loro pròprie tradizioni religiose e seguendo i dettami della loro coscienza, che i membri delle altre religioni rispóndono pósitivaménte all’invito di Dio e ricévono la salvezza in Gesú Cristo, anche se non lo riconóscono come il loro Salvatore»[1].

A molti farà stòrcere il naso quanto ho appena citato, ma questa era la tendenza teològica sotto il pontificato di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI[2].

Oltre questo documento, ce ne sono degli altri che sostèngono il pensiero del nostro pontéfice, riuscendo per di piú a salvaguardare con magistrale sagàcia sia il caràttere soteriològico delle religioni, sia la necessità dell’annúncio evangélico a tutti gli uòmini. Mi riferisco a quattro brani tratti dalle òpere della mística cattòlica Maria Valtorta, alla quale sanno attíngere con profitto tutti coloro che l’hanno studiata. I primi due brani sono tratti dall’òpera maggiore “L’Evangelo come mi è stato rivelato” e l’insegnamento è all’interno di un diàlogo. I secondi due brani sono tratti da un’òpera minore della Valtorta, “Lezioni sull’Epístola di Pàolo ai Romani” e sono un commento a tre versetti della léttera di Pàolo che ci òffrono il fondamento bíblico néotestamentàrio dell’affermazione del pontéfice.

Vista la grande confusione in cui tanti cattòlici si tròvano, li riporterò integralmente qui sotto nel tentativo di evitare a tanti di cadere nell’errore di affermare ― con la pretesa di dare magari glòria a Dio ― il contràrio di quanto ha detto papa Francesco, e cioè che “le religioni non sono un cammino per arrivare a Dio”. Se una tale visione si diffondesse, infatti, ci troveremmo di fronte alla deriva del pensiero cattòlico. La prima conseguenza di un tale visione sarebbe infatti il conclúdere che un grande número di nostri fratelli e sorelle venga destinato da Dio fin dalla nàscita alla dannazione eterna solo per èssere stato da Lui fatto nàscere da genitori non cristiani e in un contesto culturale e religioso distante dal cristianésimo da impedirgli di riconóscere Cristo come suo Salvatore. Sarebbe questa l’accusa piú infamante che si potrebbe fare al Dio infinítaménte Giusto e infinítaménte Misericordioso.

Ecco i testi da lèggere con attenzione e meditare.

Discorso di Gesú agli apòstoli

I primi due brani di Maria Valtorta sono tratti da un racconto ambientato in Terra Santa, verso il 30 d.C.. Siamo nel contesto di un diàlogo tra gli apòstoli e Gesú. Gesú afferma qui la bontà delle religioni:

«Ricordate sempre, e dítelo ai vostri successori, perché questa verità sia conosciuta nei sècoli. È meno pauroso il cadere di un pianeta che il cadere della religione. Se il cielo rimanesse spopolato d’astri e pianeti non sarebbe per i pòpoli sventura uguale a quella di rimanere senza una reale religione. Dio sopperirebbe con provvida potenza ai bisogni umani, perché tutto può Dio per coloro che sulla via sapiente, o sulla via che la loro ignoranza conosce, cercano, amano la Divinità con spírito retto. Ma se venisse un giorno in cui gli uòmini non amàssero piú Dio, perché i sacerdoti di ogni religione avéssero fatto di essa unicamente una vuota pantomima, non credendo essi per primi alla religione, ¡guai alla Terra! Ora, se cosí dico anche per quelle religioni che sono impure, alcune venute per rivelazioni parziali ad un sàggio, altre dal bisogno istintivo dell’uomo di crearsi una fede per dare pàscolo all’ànima di amare un dio ― essendo questo bisogno lo stímolo più forte dell’uomo, lo stato permanente di ricerca di Colui che è voluto dallo spírito anche se l’intelletto superbo nega osséquio a qualsíasi dio, anche se l’uomo, ignorando l’ànima, non sa dare nome a questo bisogno che, entro lui sià àgita ―, che dovrò dire per questa che Io vi ho data […]»[3].

Nel brano sottostante Gesú fa comprèndere come la sua perfetta giustízia opererà nel giudízio delle azioni dei cristiani e dei pagani.

«Quando in un tàlamo si cómpie un concepimento, esso si forma con lo stesso atto, sia che avvenga su un talamo d’oro o sullo strame di una stalla. E la creatura che si forma nel seno regale non è diversa da quella che si forma nel seno di una mèndica. Il concepire, il formare un nuovo èssere, è uguale in tutti i punti della Terra quale che sia la loro religione. Tutte le creature nàscono come nàcquero Abele e Caino dal seno di Eva. E all’uguaglianza del concepimento, formazione e modo di nàscere dei figli di un uomo e di una donna sulla Terra, corrisponde un’altra uguaglianza in Cielo: la creazione di un’ànima da infóndere nell’embrione perché esso sia di uomo e non di animale e lo accompagni dal momento che è creata alla morte, e gli sopravviva in attesa della risurrezione universale per ricongiúngersi, allora, al corpo risorto ed avere con esso il prèmio o il castigo. Il prèmio o il castigo secondo le azioni fatte nella vita terrena. Perché non vi pensate che la Carità sia ingiusta, e solo perché molti non saranno di Israele o di Cristo, pur essendo virtuosi nella religione che séguono convinti di èssere la vera, abbiano a rimanere in eterno senza prèmio. Dopo la fine del mondo non sopravvivrà altra virtù che la carità, ossia l’unione col Creatore di tutte le creature che víssero con giustízia. Non ci saranno tanti Cieli, uno per Israele, uno per i cristiani, uno per i cattòlici, uno per i gentili, uno per i pagani. Non ci saranno, ma vi sarà un solo Cielo. E così vi sarà un solo prèmio: Dio, il Creatore che si ricongiunge ai suoi creati vissuti in giustízia, nei quali, per la bellezza degli spíriti e dei corpi dei santi, ammirerà Se stesso con giòia di Padre e di Dio. Vi sarà un sol Signore. Non un Signore per Israele, uno per il Cattolicésimo, uno per le altre síngole religioni.

Ora vi rivelo una grande verità. Ricordàtevela. Trasmettétela ai vostri successori. Non attendete sempre che lo Spírito Santo rischiari le verità dopo anni o sècoli di oscurità. Udite. Voi forse direte: “¿Ma allora che giustízia c’è ad èssere della religione santa, se saremo alla fine del mondo ugualmente trattati, come lo saranno i gentili?”. Vi rispondo: la stessa giustízia che c’è, ed è vera giustízia, per coloro che, pur essendo della religione santa, non saranno beati perché non saranno vissuti da santi. Un pagano virtuoso, soltanto perché visse con virtù eletta, convinto che la sua religione era buona, avrà alla fine il Cielo. ¿Ma quando? Alla fine del mondo, quando delle quattro dimore dei trapassati due sole sussisteranno ossia il Paradiso e l’Inferno. Perché la Giustízia, in quel momento, non potrà che conservare e dare i due regni eterni a chi dall’albero del libero arbítrio scelse i frutti buoni o volle i frutti malvagî. ¡Ma quanta attesa prima che un pagano virtuoso giunga a quel prèmio!… ¿Non ve lo pensate? E questa attesa ― spécie dal momento in cui la Redenzione con tutti i suoi conseguenti prodigî si sarà verificata e l’Evangelo sarà predicato nel mondo ― sarà la purgazione delle ànime che víssero da giuste in altre religioni ma non potérono entrare nella Fede vera dopo averla conosciuta come esistente e di provata realtà. Ad essi il Limbo per i sécoli e sécoli sino alla fine del mondo. Ai credenti nel Dio vero, che non séppero èssere eroicamente santi, il lungo Purgatòrio; e per alcuni potrà avere tèrmine alla fine del mondo. Ma dopo l’espiazione e l’attesa, i buoni, quale che sia la loro provenienza, saranno tutti alla destra di Dio; i malvagî, quale che sia la loro provenienza, alla sinistra e poi nell’Inferno orrendo mentre il Salvatore entrerà con i buoni nel Regno eterno.

“Signore, perdona se non ti capisco. Ciò che dici è molto diffícile… almeno per me… Tu dici sempre che sei il Salvatore e redimerai quelli che crédono in Te. ¿E allora quelli che non crédono, o perché non ti hanno conosciuto essendo vissuti prima, oppure perché ― ¡è tanto grande il mondo! ― non hanno avuto notízia di Te, come pòssono èssere salvati?” chiede Bartolomeo.

“Te l’ho detto: per la loro vita di giusti, per le loro òpere buone, per la loro fede che essi crédono vera”.

“Ma non sono ricorsi al Salvatore…”.

“Ma il Salvatore per essi, anche per essi, soffrirà.[…] Perfetto il sacrifício e perfetto il mèrito. E usàbile secondo la santa volontà della víttima alla quale il Padre dice: “¡Sia come tu vuoi!” perché essa lo ha amato senza misura ed ha amato il pròssimo senza misura”»[4].

Commento a Rm 2,9-12

I pròssimi due brani sono un commento ai seguenti versetti bíblici:

«Tribolazione e angòscia su ogni uomo che òpera il male, sul Giudeo, prima, come sul Greco; glòria invece, onore e pace per chi òpera il bene, per il Giudeo, prima, come per il Greco: Dio infatti non fa preferenza di persone» (Rm 2,9-11).

«La tribolazione e l’angòscia della vita non sono che un mínimo sàggio della tribolazione o angòscia dell’oltre vita. Poiché l’inferno, la dannazione, sono orrori che anche l’esatta descrizione di essi, data da Dio stesso, è sempre inferiore a ciò che essi sono.

Voi non potete, neppure per descrizione divina, concepire esattamente cosa è la dannazione, cosa è l’inferno. Così come visione e lezione divina di ciò che è Dio ancór non può darvi la giòia infinita della esatta conoscenza dell’eterno giorno dei giusti nel Paradiso, così altrettanto né visione né lezione divina sull’Inferno può darvi un sàggio su quell’orrore infinito. Per la conoscenza dell’èstasi paradisíaca e per l’angòscia infernale, a voi viventi sono messi confini. Perché se conosceste tutto quale è, morireste d’amore o di orrore. E castigo e prèmio saranno dati con giusta misura al giudeo come al greco, ossia al credente nel Dio vero come a colui che è cristiano ma fuor dal tronco dell’eterna Vite, come all’erètico, come a colui che ségua altre religioni rivelate o la sua pròpria, se è creatura alla quale è ignota ogni religione. Prèmio a chi sègue giustízia. Castigo a chi fa male.

Perché ogni uomo è dotato di ànima e di ragione e per questo ha in sé quanto basta ad èssergli guida e legge. E Dio nella sua giustízia premierà e castigherà a seconda che lo spírito seppe, più severamente perciò più lo spírito e la ragione sono di èssere civile e a contatto di sacerdoti o ministri cristiani, di religioni rivelate, e a seconda della fede dello spírito. Perché se uno, anche di chiesa scismàtica oppure separata, crede fermamente di èssere nella giusta fede, la sua fede lo giustífica, e se òpera il bene per conseguire Dio, Bene supremo, avrà, un giorno, il prèmio della sua fede e del suo retto operare, con maggiór benignità divina di quella concessa ai cattòlici.

Perché Dio calcolerà quanto più sforzo dovéttero fare i separati dal Corpo místico, i maomettani, bramínici, buddisti, pagani, per èssere dei giusti, essi nei quali la Gràzia, la Vita, non sono, e con esse i miei doni e le virtù che da essi doni scaturíscono. Non vi è accettazione[5] di persone davanti a Dio. Egli giudicherà per le azioni compiute, non per le orígini umane degli uòmini.

E molti saranno che, credèndosi eletti perché cattòlici, si vedranno preceduti da molti altri che servirono il Dio vero, a loro ignoto, seguendo la giustízia»[6]

«Tutti quelli che hanno peccato senza la Legge, senza la Legge periranno; quelli invece che hanno peccato sotto la Legge, con la Legge saranno giudicati» (Rm 2,12).

«La grande misericòrdia di Dio risplende ancór più lúminosaménte infinita nelle parole di Pàolo che, ispirato, proclama come únicamente coloro che non riconóscono nessuna legge ― né naturale, né sóprannaturàle, né ra-gionevole ― periranno, mentre quelli che hanno conosciuta la Legge e non l’hanno praticata, dalla stessa Legge, che salva, saranno condannati; e ancora: che i Gentili, che non hanno la Legge, ma naturalmente e ràgionevol-ménte fanno ciò che la Legge a loro sconosciuta prescrive ― dàndosi, per il solo lume di ragione: rettezza di cuore, ubbidienza alle voci dello Spírito (sconosciuto ma presente, único maestro al loro spírito di buona volontà), ubbidienza a quelle ispirazioni che essi séguono perché la loro virtù le ama, e non sanno di servire ínconsapevolménte Dio ― che questi Gentili, che mostrano con le loro azioni che la Legge è scritta nel loro cuore virtuoso, nel giorno del Giudízio saranno giustificati.

Osserviamo queste tre grandi categorie, nel giudízio divino delle quali risplèndono misericòrdia e giustízia perfette.

Coloro che non riconóscono nessuna legge né naturale, né umana ― e perciò ragionévole ―, né sovrumana. ¿Chi sono? ¿I selvaggî? No. Sono i luciferi della Terra. E il loro número cresce sempre piú col passare dei tempi, nono-stante che civiltà, diffusione del Vangelo e predicazione inesausta di esso, dovrébbero far sempre più esíguo il loro número. Ma pace, ma giustízia, ma luce, sono promesse agli uòmini di buona volontà. Ed essi sono di mala volontà. Sono i ribelli ad ogni legge, anche a quella naturale. Perciò inferiori ai bruti. Rinnégano vólontariaménte la loro natura di uomo: èssere ragionévole dotato di mente e di ànima. Fanno cose contro natura e contro ragione. Non merítano più che di perire di fra il número degli uòmini che son creati a immàgine e somiglianza di Dio, e periranno da come uòmini per prèndere la loro voluta natura di demonî.

Seconda categoria: gli ipocriti, i falsi, coloro che irrídono Dio, avendo la Legge, ma avèndola solo, non praticàndola. ¿E può allora dirsi di averla veramente e trarne beneficî? Símili a coloro che possièdono un tesoro ma lo làsciano inoperoso e incustodito, essi non ne tràggono frutti di vita eterna, ma gàudi immediati per il loro morire, e Dio li condannerà perché ébbero il dono di Dio e non ne usàrono con riconoscenza al Donatore, che li aveva messi nella parte eletta dell’Umanità: in quella del Pòpolo suo, perché segnato dal segno cristiano.
Terza categoria: i Gentili. Al tempo d’oggi diamo tale qualífica a quelli che non sono cristiano cattòlici. Chiamiàmoli così, mentre meditiamo le parole di Pàolo. Essi, che non avendo la Legge fanno naturalmente ciò che la Legge impone ― e son legge a se stessi, mostrando così come il loro spírito ami la virtù e tenda al Bene supremo ― essi, quando Dio giudicherà per mezzo del Salvatore le azioni segrete degli uòmini, saranno giustificati. Sono molti, costoro. Un número grande. E sarà la folla immensa… di ogni nazione, tribú, pòpolo, linguàggio, sulla quale, nell’último giorno, per i mèriti infiniti del Cristo immolato sino all’estrema stilla di sàngue e di umore, verrà impresso il sigillo del Dio vivo a salvezza e prèmio prima dell’estremo inappellàbile giudízio. La loro virtù e la loro spontànea ubbidienza alla legge di virtù li avrà battezzati senza altro battésimo, consacrati senza altro crisma che i mèriti infiniti del Salvatore. Il Limbo non sarà più dimora dei giusti. Così come la sera del Venerdì Santo esso si svuotò dei suoi giusti, perché il Sàngue versato dal Redentore li aveva detersi dalla màcchia d’orígine, così alla sera del Tempo i mèriti del Cristo trionfante su ogni nemico li assolverà dal non èssere stati del suo gregge per ferma fede di èssere nella religione giusta, e li premierà della virtù esercitata in vita. E se così non fosse, Dio farebbe frode a questi giusti che si déttero legge di giustízia e difésero la giustízia e la virtú. E Dio non defràuda mai. Lungo talora a cómpiersi[7], ma sempre certo il suo prèmio»[8].


Note

[1] Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e Congregazione per L’evangelizzazione dei Popoli, Istr. Dialogo e Annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso e l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, 19.5.1991, n.29.

[2] Per il corretto inquadramento della questione oggetto per presente mio artícolo, oltre al documento su citato rimando ai seguenti documenti: PONTIFICIA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, I cristiani e le religioni, 1997; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dominus Jesus, 2000.

[3] MARIA VALTORTA, L’evangelo come mi è stato rivelato, vol. X, CEV, Isola del Liri, 1996, p. 191.

[4] MARIA VALTORTA, L’evangelo come mi è stato rivelato, Vol. VII, CEV, Isola del Liri, 2001, 78-81.

[5] Locuzione di origine biblica (corrispondente al gr. προσωποληψία nei Settanta, nella Vulgata acceptio personae), comune nel linguaggio ecclesiale per indicare un giudizio dato non secondo ragioni di ordine morale, ma per motivi soggettivi, d’interesse o simpatia, per cui si preferisce ingiustamente una persona a un’altra.

[6] MARIA VALTORTA, Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani, CEV, Isola del Liri, 1996, p. 60.

[7] Si fa riferimento al purgatorio e al limbo temporaneo.

[8] Ivi, pp 60-62.

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